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Pirati, IV parte – A. De Lellis

IL GATTO NERO
C’è una parte della storia di questi predoni del mare, che da sempre è nell’immaginario collettivo, e che sicuramente ha ispirato, e accentuato le fantasie popolari, partendo proprio dal libro l’Isola del tesoro di Stevenson.
La presenza di un tesoro nascosto da qualche previdente pirata su di un’isola sperduta, si fonde con molte altre credenze, che sfiorano il confine con l’esoterismo, la religione ed il soprannaturale.
Stesso il fatto che il gatto nero sia segno di sventura, si fa risalire, (una delle motivazioni), al fatto che il gatto fosse un’animale spesso presente sulle navi, come disinfestatore di topi, e su quelle pirata,i gatti fossero scelti di colore nero, come la loro bandiera. Avvistare un gatto nero a terra, significava che da qualche parte una nave pirata aveva dato fondo, e che di lì a poco si sarebbe scatenata la loro furia. Da qui la credenza che incontrare un gatto nero sia presagio di sventura.

Molte leggende che rientrano addirittura nel “diabolico” riguardano Edward Teach, detto il Barbanera. Tutti conosciamo la sua immagine imponente, con la folta e lunga barba nera, accoppiata ad altrettanta capigliatura, cosparsa di micce accese e fumanti che gli davano sembianze infernali. Sicuramente Teach è stato un personaggio che in breve tempo è riuscito a portare a termine ciò che probabilmente si era prefissato di fare, e cioè passare alla storia con un ricordo terrorizzante della sua figura.

Dalle testimonianze storiche che conosciamo possiamo estrapolare tre episodi che avrebbero un fondo di verità, ma che indubbiamente ci lasciano sbigottiti.
Teach, forse più di ogni altro pirata, aveva un “buon” rapporto con il demoniaco a parer suo, anzi sosteneva di essere meglio di belzebù. In varie opere letterarie e storiche sono riportati alcuni episodi che andrebbero a confermare questa teoria.
La prima riguarda un comportamento molto frequente da parte di Teach, e cioè che durante gli abbordaggi, prima di uccidere una vittima, la puntava dritta negli occhi e con tono di voce calmo e profondo gli diceva.”Hai mai visto il diavolo in faccia?”
Un altro racconto proviene proprio da marinai che fecero parte del suo equipaggio, i quali sostengono, che durante la navigazione, ogni tanto, e solo di notte, si aggirasse sul ponte una figura alta e slanciata, avvolta in un mantello tipo apocalittico, nero pece, e che questa figura compariva e scompariva senza rivolgere parola a nessuno e senza che nessuno l’abbia mai vista imbarcarsi o sbarcare dalla nave di Teach. Questi marinai sosterrebbero che quello era il diavolo in persona. Altro e più famoso episodio della vita del gallese, fu quando radunò i suoi uomini in cabina, fece chiudere porte e finestre, diede fuoco ad un secchio di zolfo, e chiese ai suoi uomini di resistere più che potevano. Dopo pochi istanti i fumi e le esalazione dello zolfo che bruciava riempirono la stanza,e gli uomini con occhi e gola in fiamme uno ad uno scapparono sul ponte all’aria fresca. Dopo molto tempo, per ultimo e con grande soddisfazione uscì barbanera, con la pipa accesa, senza il minimo segno di sofferenza agli occhi o alla gola, dichiarò che non era giusto che il diavolo avesse un inferno tutto suo, e che anche lui aveva voluto crearsi il suo, e visto che era l’unico ad aver resistito alle esalazioni dello zolfo, lui a bordo era il vero diavolo.
Altra curiosità di questo singolare personaggio era che beveva rum rinforzato con polvere da sparo. Infatti quando gli si porgeva la mitica “pinta” nel bicchiere peltro, ci infilava dal suo corno un pizzico di polvere, perché “liscio” per lui era troppo leggero. Durante una di queste abbondanti bevute poi, gli venne chiesto se qualcuna delle sue 8 mogli, conoscesse l’ubicazione del suo tesoro, ed egli rispose che solo lui ed il diavolo in persona conoscevano quel posto. L’episodio sicuramente più raccapricciante però, riguarda la morte di Teach. Quando lo scontro avviato da Maynard, era ormai giunto alla fine, il giovane tenete della marina inglese ed il terribile pirata si ritrovarono faccia a faccia. Barbanera morì solo dopo che un Highlander, imbarcato con Maynard gli staccò letteralmente la testa dal corpo con la sua spada, visto che con 25 ferite da arma da taglio, e 5 da arma da fuoco, il pirata ancora combatteva. Sempre secondo la leggenda, il suo corpo, privo di testa, buttato in acqua fece tre volte il giro della nave prima di affondare.
Tutti questi episodi della vita del pirata, ci fanno pensare ad una profonda suggestione popolare. Rimane il fatto che sicuramente Teach, aveva l’intenzione di passare alla storia ed è riuscito in questo suo intento in un breve periodo di attività, con 140 navi conquistate, ed un’immagine suggestiva di se stesso creata ad arte e alimentata dalle credenze popolari.
Sicuramente questo è stato un deterrente per tutta la pirateria. Grandi bestemmiatori, bandiere nere, aspetto diabolico, andavano a scontrarsi nettamente con la religiosità delle loro vittime, spagnoli in testa a tutti, che non perdevano occasione di votare il nome di una nave a qualche santo,(San Felipe, Santissima Trinidad ecc…). Sicuramente dal lato spagnolo i pirati erano visti o erano a tutti gli effetti dei demoni, che infondevano paura e terrore con le loro figure, grida, bestemmie e parolacce, ma questo terrore creato ad arte, significava per i pirati avere mezza vittoria in tasca.

IL TESORO DEI PIRATI
Non è possibile determinare se e quanti pirati, abbiano accumulato un tesoro. Probabilmente pochissimi o addirittura nessuno. Sono rari i casi conosciuti di pirati che si siano arricchiti, o addirittura abbiano sepolto un tesoro. Pare che Kidd avesse nascosto una cospicua somma per poter corrompere chi lo accusava di pirateria, ma Kidd non arrivò mai ad utilizzare quel tesoro, in quanto era lui stesso sepolto in un perverso gioco politico che lo vedeva già sulla forca.

Fatto sta, che qualunque sia stata la somma rimediata da un abbordaggio, non durava mai per molto tempo, in quanto i pirati erano maestri nello scialacquare denaro in alcool, donne e gioco d’azzardo.
I veri tesori, sono rimasti in fondo al mare, nelle pance divelte delle navi tesoriere spagnole, le quali carcasse si sono accumulate sulla barriera corallina di Cuba, dove sembrerebbero presenti centinaia di relitti di navi naufragate in quella zona, durante tempeste tropicali, e per la presenza del corallo, acerrimo nemico di qualunque scafo. Nonostante ciò, sarebbe errato affermare il contrario, e la possibilità che da qualche parte ci sia nascosto un tesoro di pirati, ha un fondo di realtà, supportato dall’esistenza di mappe che danno credito a questa ipotesi.
Da sempre cacciatori di tesori si sono dati da fare per interpretare antiche mappe che li avrebbero condotti a ricchezza e fama, rintracciando un fantastico tesoro dei nostri cari pirati. Ma per poter far ciò, come vedremo più avanti, c’è una semplice quanto fondamentale regola da rispettare, e cioè: “PENSARE COME UN PIRATA”.
Infatti i pochi documenti di questo tipo esistenti, risultano praticamente criptati, secondo il personale pensiero di chi li ha ideati. Avere nozioni e familiarità con termini nautici dell’epoca, con la storia, gli eventi, i personaggi, le navi, il pensiero, la dialettica, la maniera di esprimersi, è indispensabile per la decifrazione di una mappa. Tra le righe potrebbero affiorare indicazioni inquietanti, che ci riportano alla politica del terrore piratesco, attraverso l’utilizzo di simbologie diaboliche, atte a confondere e portare fuori strada chi legge la mappa, sistema di sicurezza di chi l’ ha ideata, come promemoria personale, e non come chiave di accesso a tutti. Per questi motivi, interpretare una mappa risulta operazione complessa se non impossibile e richiede comunque una grande conoscenza dell’argomento.

IL TESORO DEL WHYDAH
Da due giorni Sam Bellamy detto Black Sam a bordo della sua Sultana, si teneva sulla rotta del Whydah senza avvicinarsi, per studiare la situazione. Questo comportamento era spesso utilizzato dai pirati come lui, per alimentare il terrore abbordo della nave da depredare, con la propria costante e inquietante presenza. Girava voce che Sam avesse fatto un patto con il diavolo per fargli prendere quella meraviglia che era il Whydah intatta, nonostante con i suoi quaranta cannoni fosse nettamente superiore alla Sultana. Sarà per il terrore suscitato, o sarà per l’accordo demoniaco, a Sam bastò sparare un solo colpo di cannone, un solo maledetto colpo, per convincere il comandante del Whydah alla resa totale, ed a farsi abbordare senza fiatare. Sam, per riconoscenza, lasciò la Sultana al comandante del Whydah, trasportando tutto ciò che gli occorreva, compresi i cannoni, che andarono ad aggiungersi ai 40 del Whydah.
Oltre ad una possente nave, Sam capì quale era stata la sua fortuna, quando scoprì nel ventre del Whydah, un vero proprio tesoro, stimato per l’epoca in 80.000 sterline, tra oro, pietre preziose, avorio e spezie varie.

Forte di queste ricchezze e della potenza di fuoco della sua nuova nave, nell’anno successivo, Sam, fece razzia di un numero stimato in circa una cinquantina di navi, formando assieme al Whydah, una piccola flotta pirata.
Ben presto, come dissero alcuni sopravvissuti, il diavolo però venne a chiedere il conto del favore fattogli un anno prima e il 27 Aprile del 1717 a largo del Massachusets, una terribile tempesta spazzò via la piccola flotta, assieme al Whydah, dove trovò la morte anche Sam Bellamy all’età di soli 29 anni.
Esattamente 265 anni dopo, cioè nel 1982 uno studioso dell’argomento, Barry Clifford, iniziò a perlustrare il tratto di mare nel quale presumeva fosse il relitto del Whydah. Come spesso accade, dopo 2 anni di infruttuose ricerche, ad un passo dall’arrendersi, Clifford, durante l’ennesima immersione portò alla luce una campana, inconfondibile segno della presenza di un relitto, e su quella campana era inciso il nome che lui sperava tanto di trovare: “Whydah”.
A distanza di 26 anni i lavori di recupero continuano ancor oggi, e in un area di 2Km quadrati sono stati portati alla luce svariati oggetti preziosi tra cui una pistola di rara bellezza e valore,oltre sessanta cannoni, un set da chirurgo per operare ed amputare arti, una teiera, svariate centinaia di monete e tantissimi oggetti di uso quotidiano che secondo me costituiscono il vero tesoro dei pirati, perché possono raccontarci molto sulla vita e le usanze di questi uomini di mare.
http://whydah.com/

IL MISTERO DI OAK ISLAND
Alcuni racconti ci porterebbero a credere che in questa isoletta facente parte della Nuova Scozia in Canada, il famigerato Kidd, abbia nascosto il proprio tesoro, ma pirati o no vale la pena spendere due parole su questa misteriosa trappola che ci riporta alle immagini di un simpatico film di qualche tempo fa dal titolo I Goonies. Sull’isola di Glouchester,

nota come Oak Island, (della quercia), Daniel Mc Ginnis in una giornata del 1795, allora sedicenne, passeggiando, scoprì una strana depressione di circa 4 metri, proprio sotto una quercia dalla quale pendeva ancora una carrucola. Insieme ad alcuni amici, presi dai racconti sui tesori dei pirati, ed in particolar modo dal racconto di un marinaio che collocherebbe il tesoro del capitano Kidd proprio da quelle parti, i tre amici iniziarono a scavare. Raggiunti i 60 cm trovarono un pavimento di ardesia, inesistente sull’isola, a 3m uno strato di legno di quercia, con evidenti segni di colpi d’ascia, di seguito a 7 metri ancora strati di quercia fino a dodici dove trovarono uno strato di fibre di cocco utilizzate sulle navi per imballare oggetti preziosi. Certo che la presenza di fibre di cocco su di un’isola canadese lascia molto pensare. Continuando gli scavi a 27 metri di profondità venne alla luce una pietra di porfido egizia con un’incisione in lingua Copta, che tradotta riportava il seguente messaggio: ”Quaranta piedi sotto sono sepolte due milioni di libbre”. Continuarono gli scavi sotto la pietra e quando raggiunsero qualcosa che sembrava una cassa di legno, interruppero per il sopraggiungere del buio, ma la mattina seguente trovarono il pozzo allagato. Nel corso dei successivi 45 anni venne fondato un consorzio per gli scavi, che utilizzò varie trivelle le quali riportarono alla luce, ancora strati di quercia e abete rosso, strati di metallo finché non vennero perforati dei barili di legno peni di monete d’oro, ma solo alcune di queste monete furono riportate in superficie dalle trivelle, assieme ad alcuni anelli d’oro appartenenti ad una catena. Si arrivò alla profondità di 280 metri, dove continuavano a venir fuori strati di argilla, mista a strati di legno. Il dottor Lynds notò che l’acqua nel pozzo era salata e saliva e scendeva con le maree, quindi sospettò che volutamente i costruttori avevano concepito di poterlo allagare se qualcuno avesse tentato di raggiungere il tesoro.
Un sopralluogo sulla spiaggia, situata a circa centocinquanta metri dal pozzo, rivelò che questa era artificiale. L’argilla originale era stata tolta e creato un sistema di filtraggio utilizzando pietre, erba, e tonnellate di gusci di noce di cocco; infine la sabbia per riformare la spiaggia.
La “Truro Company” costruì una diga e scoprì che erano state costruite sotto il terreno cinque scatole di spurgo, disposte a ventaglio come le dita di una mano, dalle quali partivano dei canali discendenti che convogliavano l’acqua in un unico canale diretto verso il pozzo . Non riuscirono a determinare il punto esatto perché una tempesta distrusse la diga prima che fosse completata. Durante i lavori vennero alla luce i resti di una diga più vecchia. I canali avevano pareti alte un metro e larghe sessanta centimetri, con una pendenza del 22%, erano capaci di portare 2400 litri di acqua al minuto.
Il tutto era stato concepito come l’esperimento della cannuccia inserita nel bicchiere; finché il dito chiude la parte superiore della cannuccia immersa nel liquido, quest’ultimo non sale all’interno della canna a causa dell’aria rimasta all’interno, ma una volta tolto il dito l’aria esce ed entra il liquido, fino al livello del bicchiere.
Le piattaforme di quercia, sigillate con la fibra della noce di cocco e col mastice, si erano comportate come un sughero gigante a tenuta d’acqua. Chiunque scavasse ad una profondità inferiore a 90 piedi rompeva il sigillo idraulico permettendo l’allagamento del pozzo; il lavoro svolto dalla “Onslow Company” aveva rotto questo antico sigillo idraulico. Nel 1936 Gilbert Hedden e Fred Blair, durante una nuova indagine sull’isola, scoprirono un frammento di pietra con iscrizioni simili a quelle trovate sulla prima pietra scoperta a 90 piedi; inoltre molto legname vecchio, sicuramente usato dai costruttori del pozzo, perché i legni erano uniti con perni di legno e non di metallo.
Nell’agosto del 1938 Hedden trovò un masso vicino al pozzo con un foro profondo due pollici; Blair si ricordò di averne visto uno simile in una roccia ad est del pozzo.
Hedden, sfogliando un libro di Harold Wilkins del 1937, aveva scoperto al suo interno, la riproduzione di una mappa datata 1669 che l’autore indicava tracciata dal pirata William Kidd. Riproduceva un isola che per Hedden somigliava ad Oak. Il profilo delle coste, benché in trecento anni fosse cambiato a causa delle maree, l’altezza, la topografia, corrispondevano all’isola di Oak; perfino la scogliera era segnata nella mappa di Kidd nello stesso punto di quella presente ad Oak, e corrispondevano anche le zone di mare poco profonde. La carta riportava una scritta enigmatica: “18 W and by 7 E on Rock 30 SW 14 N Tree 7 By 8 By 4”. Hedden, facendosi aiutare, tracciò una linea fra le rocce forate e pose un palo a 18 pertiche ad ovest di una roccia e 7 ad est dell’altra. La linea tracciata a Sud Ovest era composta da 30 pertiche come scritto sulla mappa. Il tutto formava un triangolo approssimativo di 10 piedi di lato. Da questo rintracciò un secondo triangolo costruito intorno al pozzo seguendo le indicazioni “7 By 8 By 4”. La scoperta più rilevante avvenne nel 1971 in uno dei pozzi trivellati chiamato “10-X”. Dopo aver ottenuto campioni con resti di ottone e legno, il foro fu ingrandito e venne inserita una telecamera fino alla spelonca che si trovava a 65 metri (212 piedi). Nonostante l’acqua scura nella cavità a settanta metri (230 piedi) la telecamera inquadrò una mano umana che galleggiava nell’acqua due o tre casse e un corpo umano. Dopo avere visto le immagini fu deciso di inviare alcuni uomini a vedere; vennero fatti parecchi vani tentativi a causa della scarsa visibilità e la forte corrente.
Nel 1995 l’istituto oceanografico ha esaminato l’isola e steso un rapporto confidenziale; qualcuno lo deve aver letto perché i cacciatori del tesoro non sono stati scoraggiati.
Oggi il sito è in totale abbandono, ma chi ha costruito il pozzo? Cosa vi era nascosto?
Nonostante le leggende, sembra improbabile che il capitano William Kidd abbia avuto la probabilità seppellire un tesoro sull’isola della quercia. Ha passato poco tempo vicino a Nuova Scozia e certamente non abbastanza per costruire il pozzo dei soldi. Sembra molto improbabile che un pirata possa essere l’autore di un complesso come il pozzo, che necessitava di molti mesi di lavoro; i pirati seppellivano un tesoro dove era facile e veloce nasconderlo e, in seguito, altrettanto facilmente, recuperarlo.
Un lavoro immane per nascondere in segreto solo oro e gioielli? Volevano nasconderlo a tutti per sempre? Molto più semplice gettarlo fuori bordo nelle profondità dell’oceano. Sapendo che i pirati non operavano in tal modo viene da pensare a qualcuno che voleva seppellire qualcosa che non doveva essere vista in quel tempo.
Vi sono teorie che vogliono le strutture antiche di migliaia di anni; assegnate addirittura ai Vichinghi. Il meccanismo costruito per allagare il pozzo, attraverso canali sotterranei, ricorda molto il sistema in uso nelle tombe egiziane per impedirne l’accesso.

THOMAS BRUNNER IL CACCIATORE DI TESORI
Per ultimo, vale la pena raccontare la storia di Brunner, una persona normalissima, cuoco,che in poco tempo ha visto cambiare il corso della sua vita, cercando il mitico tesoro dei Pirati. Sfogliando una rivista scientifica come molti di noi potrebbero fare, fu colpito da un articolo riguardante una mappa del tesoro, di epoca pirata, della quale mai nessuno era riuscito a interpretare il significato. Il pensiero di poterci riuscire si impossessò della sua mente. Il cuoco iniziò a fare approfondite ricerche sull’argomento in varie biblioteche ed il fatto che quella mappa potesse essere veritiera, pian piano prese consistenza attraverso vari indizi. Per poter meglio comprendere quel mondo, decise di approfondire le sue conoscenze nautiche necessarie per interpretare la mappa e nel giro di un anno, conseguì la patente nautica per navigazione d’altura, percorrendo svariate miglia in mare. Si procurò un computer ed un portatile, e approfondendo attraverso questi mezzi le sue conoscenze, iniziò veramente a pensare e ragionare come un marinaio.
Attraverso un’approfondita analisi della mappa e di apparentemente insignificanti indizi contenuti in essa, riuscì a tracciare un andamento costiero, che attraverso l’aiuto dei suoi computer, e con il confronto di diverse carte di navigazione d’epoca, identificò in un tratto costiero vicino Cipro. Trovati i fondi necessari per la spedizione nell’arco di ben otto anni, tutti i suoi sforzi si conclusero con un buco nell’acqua che lo portarono a rinunciare definitivamente al suo progetto.
Appena tre settimane dopo però, era di nuovo sulla sua mappa e ripercorrendo a mente fredda tutto il suo lavoro, riuscì ad individuare l’errore, un’errore che questa volta in una seconda spedizione, l’avrebbe portato su un’isola dell’Atlantico.
Giunto sul luogo, riconobbe subito dei punti di riferimento che confermavano che questa volta il tratto di costa era quello giusto. I nativi di quelle parti consideravano quel luogo un posto malefico, e delle caricature demoniache sulla parete rocciosa confermavano il passaggio dei predoni del mare.
Nel periodo passato a studiare la pirateria, Brunner aveva imparato a “pensare” come loro, e la direzione degli sguardi di quei volti orribili, la posizione degli astri, i punti cardinali, costituivano l’indicazione della direzione verso la quale cercare il tesoro.
Seguendo tutti questi indizi, giunse in un punto, dove tre rocce coniche indicavano con la loro estremità lo stesso punto, il punto dove Brunner iniziò di scavare. Dopo aver tolto un po’ di melma a mani nude, affiorò una testa di pirata scolpita nella roccia, ma anch’essa imbrattata di melma. Brunner pensò che andava pulita con dell’acqua, perché sicuramente avrebbe indicato altri indizi verso il tesoro.
Individuò uno stagno dal quale avrebbe potuto prelevare dell’acqua per lavare la testa, ma ormai affamato, con poca acqua potabile,e sopratutto solo si arrese alla notte e accese un fuoco con pochi rami secchi che riuscì a trovare lì intorno. Durante la notte i suoi nervi cedettero, circondato da quelle figure demoniache scolpite nella roccia, rese ancora più sinistre dalla fioca luce del suo fuoco, con la mente colma di tutte le leggende di pirati che mettevano a guardia del loro tesoro presenze demoniache, e ripensando a tutti i cacciatori di tesori finiti male, fu sopraffatto dal terrore mentre la luce del fuoco si esauriva, ed iniziò a correre nel buio, riuscendo a raggiungere miracolosamente il punto dal quale era approdato sull’isola.
Il giorno dopo si imbarcò sul primo aereo per a casa, con la ferma intenzione di tornare sul luogo della sua scoperta, con mezzi più idonei e sopratutto non da solo, ma accompagnato da una squadra di ricerca, per portare a termine ciò che aveva iniziato, e ciò che aveva scoperto.
Giorni dopo, come spesso accadeva Brunner lavorava sul suo pc, per cercare di svelare gli ultimi misteri rimasti della mappa, ma a differenza di prima, quando ogni interrogativo, ogni dubbio, richiedevano ore di studio, adesso le risposte scaturivano come un fiume in piena, come se una voce dentro di lui, suggerisse la chiave di ogni enigma. Fu in quel momento che Brunner capì che qualcosa di inarrestabile, e sopratutto molto inquietante stava avendo inizio, facendogli ben presto perdere il controllo di se stesso. Mentre continuava il suo lavoro sulla mappa, una serie di simmetrie che scaturivano, congiungendosi disegnavano la forma di una figura diabolica. Adesso risolveva tutti gli enigmi con facilità, ma ogni nuova combinazione dava luogo alla stessa sequenza di lettere che formavano la parola “sat” (per satana). Durante tutti quei anni di studio gli era capitato, spesso di incappare in pirati che avessero fatto patti con il demonio, o comunque dediti a riti oscuri, ed il pirata del suo tesoro non faceva eccezione. La decifrazione delle sequenze, continuavano ad insistere su quella maledetta parola, finché nel buio della sua stanza, unicamente illuminata dalla luce del video del pc, sentì una presenza alle spalle, come se qualcuno gli fosse dietro in piedi ad osservarlo. Un brivido gli gelò la schiena, spense il pc, e si ficcò nel letto nascondendo la testa sotto il cuscino, paralizzato dal terrore.
Quella notte la sua vita cambiò radicalmente, sentiva continuamente delle voci dentro lui che lo istigavano all’omicidio, al suicidio, tanto che nascose i coltelli che aveva in casa in un luogo difficilmente accessibile. Nel sonno vedeva delle figure demoniache difronte a se, e aprendo gli occhi quelle figure erano ancora lì, difronte a lui. Ormai la sua vita si era un inferno, pieno di quei demoni che aveva incontrato durante la ricerca del tesoro. Contattò una sua conoscente dell’esercitò della salvezza, con la quale pregò, e pregando, riuscì ad provare un certo sollievo al suo malessere. Questa persona poi, lo inviò da un consulente spirituale, con il quale si aprì all’influenza di queste forze del male che gli stavano dando il tormento, Thomas, distrusse tutto il lavoro condotto negli ultimi anni sul tesoro, gettò libri, materiale raccolto sui pirati, compresa la maledetta mappa, e cancellò tutto ciò che era memorizzato nei suoi pc. Oggi Brunner è un cristiano convinto e frequenta una chiesa, ha ritrovato la felicità, ma ogni tanto, inevitabilmente, qualche immagine del passato, nonostante siano passati diversi anni, torna a galla, con tutta la sua inquietudine.