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L’evoluzione tattica della Legione Romama – S. Izzo

La “legione” (nome che deriva dalla “leva”) costituì sempre l’unità di base, ma anche l’uso di tale parola assunse significati assai differenti; inizialmente con tale termine si designava tutto l’esercito, almeno nella sua componente più qualificante, la falange, poi, in età repubblicana, l’exercitus fu suddiviso in due legiones, una per ciascun console; in seguito, le legioni divennero sempre più numerose e con quel termine si cessò di designare tutto l’esercito ma si fece riferimento all’unità ben definita che conosciamo; la legione romana era un’unità complessa, di primaria valenza non solo a livello tattico ma anche a livello strategico in quanto la sua sola presenza in una Provincia costituiva un forte deterrente per i nemici e un formidabile strumento di romanizzazione.

In età monarchica, l’esercito, dopo una prima fase arcaica di cui non abbiamo notizie, ma che vide certamente un esercito poco numeroso combattere secondo tattiche e ordinamenti assai elementari, venne ordinato in falange, secondo il modo di combattere allora prevalente dei Greci e degli Etruschi. Il primo ordinamento noto viene ascritto al re Tarquinio Prisco che, sulla base delle 30 curiae in cui era diviso il popolo di Roma arcaica,originate dalle tre antiquae tribus dei Ramnes, Tities e Luceres, organizzò la legione falangitica su 3000 uomini (100 per curia), scelti in base ai natali. Tale primo ordinamento venne riformato sulla base del censo, ad opera di Servio Tullio; la popolazione venne divisa in tribus; le tribus, dalle 16 della riforma serviana, con l’estendersi della città aumentarono al numero definitivo di 35, raggiunto nel 241 a.C.; ciascuna tribù, ai fini del servizio militare, venne divisa in centuriae, aggregazioni su base censuaria, che fornivano un certo numero di armati per ognuna delle classi da cui era costituito l’esercito: la classis vera e propria, arruolata tra le centuriae dei cittadini più abbienti, che formava la vera falange di 4000 o 6000 uomini, e le cc.dd. infra classem, arruolate tra le centuriae dei cittadini via via meno abbienti, che formavano la restante parte dell’esercito; i nullatenenti erano esenti da obblighi militari; gli uomini in età tra i 45 ed i 60 anni costituivano la riserva.

Nel V sec. a.C., agli inizi dell’età repubblicana, l’esercito, sempre a ordinamento falangitico, era costituito nel modo seguente: le centuriae dei cittadini idonei alle armi erano equamente divise tra due legioni, per agevolare la ripartizione dell’esercito tra i due consoli eletti annualmente; le prime tre classi (hastati, principes e triarii), per un totale di 60 centuriae per legione, andavano a costituire la fanteria pesante, forte di 3000 uomini, mentre le ultime due classi (i cui componenti erano forse denominati rorarii e accensi), per un totale di 25 centuriae per legione, andavano a costituire la fanteria leggera, forte di 1200 uomini; i cavalieri, in numero di 300 per legione, erano prelevati dalle centuriae degli equites ed erano divisi in 10 turmae di 30 cavalieri ciascuna; va evidenziato, tuttavia, che l’esatta composizione dell’esercito romano a cavallo tra la fine della monarchia e l’inizio della repubblica è materia, tra gli studiosi, di versioni contrastanti; si ritiene, in ogni caso, che, in questa fase, le centurie avessero una rilevanza meramente amministrativa ma che non avessero alcuna autonomia tattica in quanto ciascuna classe costituiva, tutta intera, una linea dello schieramento, con le prime tre classi che costituivano la falange propriamente detta e le altre due classi che costituivano gli schermagliatori.

Verso la seconda metà del IV sec. a.C., l’esercito abbandonò il modello falangitico per assumere il più agile ordinamento manipolare: i manipoli, pur non essendo dotati di grande autonomia tattica, potevano essere schierati diversamente a seconda del terreno o dello schieramento avversario e, disposti a scacchiera, permettevano il passaggio delle altre unità; si ritiene che i Romani abbiano tratto tale originale ordinamento dai Sanniti e da altre popolazioni dell’Italia centro-meridionale che, battendosi su terreni impervi, non potevano schierarsi a falange e avevano adottato schieramenti più flessibili. Ogni manipulum era costituito dall’ aggregazione di due centuriae, pertanto la fanteria pesante si trovò ad essere suddivisa, per ciascuna legione, in 30 manipoli: 10 di hastati, di 120 uomini ciascuno, 10 di principes, di 120 uomini ciascuno, 10 di triarii, di 60 uomini ciascuno; le ultime due classi vennero riunite sotto la denominazione di velites e, probabilmente, aggregate, come schermagliatori, ai manipoli delle prime tre classi. Questa importante innovazione, secondo la leggenda ascrivibile a Furio Camillo, fu probabilmente una conseguenza delle evoluzioni rese necessarie dalle difficili guerre con Celti e Sanniti, contro i quali la falange non dette buona prova. Il numero delle legioni venne dapprima portato da due a quattro ma, dalle Guerre Puniche in poi, fu destinato a espandersi e contrarsi a seconda delle esigenze, in quanto l’esercito doveva essere ora ripartito tra tutti i teatri di operazioni: Augusto ereditò 60 legioni ma, alla sua morte, le aveva ridotte a 25. Oltre alle legioni, l’esercito romano repubblicano schierava in campo anche contingenti di alleati, il cui numero e la cui importanza si incrementarono sempre più; tali contingenti erano organizzati e schierati in modo del tutto simile alle unità romane ma comprendevano specialità in cui i cittadini romani non eccellevano, come la cavalleria, specialmente leggera, e i tiratori (arcieri e frombolieri).

Agli inizi del I sec. a.C. Caio Mario riformò profondamente l’esercito che si orientò verso un modello professionale, abbandonando la base censuaria e, quindi, le distinzioni all’interno della legione tra le diverse specialità; l’armamento dei legionari, pertanto, divenne uniforme, accentuando così la necessità di servirsi di truppe ausiliarie per compiti diversi da quelli propri della fanteria pesante legionaria. L’esercito assunse un ordinamento coortale, nel quale la legione, come le unità ausiliarie, era divisa in coorti; ciascuna legione, in particolare, venne divisa in 10 corti, ognuna delle quali forte di circa 500 uomini e comprendente 6 centurie di 80 uomini ciascuna; le unità ausiliarie potevano essere divise in coorti di circa 500 uomini (cohors quingenaria) o di circa 1000 uomini (cohors milliaria); a differenza dei manipoli, la cohors non solo rendeva possibile la flessibilità dello schieramento, ma era anche abbastanza forte da agire autonomamente e da poter essere spostata sul campo di battaglia con effetti decisivi. In questo periodo, probabilmente, alle legioni non era aggregato alcun contingente di cavalleria; la cavalleria, pertanto, era quasi esclusivamente ausiliaria (fornita, cioè, dalle Province) ed era suddivisa in unità chiamate ali, che potevano anch’esse essere ala quingenaria o ala milliaria.

In età alto-imperiale (I – II sec. d.C.), la legione romana rimase quella mariana; le uniche differenze furono nella prima coorte, che venne divisa in 5 centurie, anziché le normali 6, ma di consistenza doppia, e nel fatto che fece forse la sua ricomparsa un contingente di circa 150 cavalieri aggregato a ciascuna legione; dalla metà del II sec. d.C., lo sviluppo della legione romana quale modello autoctono, originato dai flessibili ordinamenti militari italici, si fermò; il progressivo ingresso nell’esercito di “barbari” dell’Europa centrale, meno disciplinati e poco inclini ad assimilare gli automatismi del movimento per sottounità, costrinse nuovamente a serrare i ranghi e si cercò di mantenere la flessibilità tattica diminuendo il numero degli effettivi di ciascuna legione o dividendo le legioni in distaccamenti, detti vexillationes; dalla fine del III sec., in età basso-imperiale, le legioni avevano perso tutte le loro precedenti caratteristiche per divenire formazioni di minore consistenza, non dissimili dalle unità ausiliarie, che si schieravano spesso in quadrato; la fanteria pesante, tuttavia, cedeva il passo sempre più, sui campi di battaglia, alla crescente importanza della cavalleria.

LA LEGIONE MANIPOLARE (IV – II sec. a.C.)

L’introduzione dell’ordinamento manipolare fu un momento decisivo nell’evoluzione della tattica romana in quanto segnò l’ abbandono della falange, considerata, fino a quel momento, il modello vincente; il passaggio avvenne probabilmente alla fine del IV sec. a.C., dopo le dure esperienze dell’esercito romano contro i Celti ed i Sanniti; in molte occasioni, la falange non si rivelò adeguata a resistere all’impeto delle orde celtiche o a disporsi in buon ordine sugli impervi campi di battaglia del Sannio. La legione manipolare, invece, riuscì ad avere ragione non solo di entrambi questi popoli, ma anche della stessa falange macedone in quanto i legionari riuscivano, prima con il lancio dei giavellotti a breve distanza, poi con l’uso combinato di scudo e spada, a inserirsi nei ranghi della falange e a causarne lo sfaldamento, come osservò, con notevole capacità di analisi militare, lo storico greco Polibio nelle sue “Storie”. La fanteria legionaria, al tempo della legione manipolare, era ancora distinta in base al censo e divisa in quattro specialità, denominate ordines: i velites, gli hastati, i principes ed i triarii; i veliti (circa 1000 per legione) erano i più giovani ed i meno abbienti; armati di giavellotti e piccoli scudi rotondi, svolgevano compiti di fanteria leggera, colpendo da lontano il fronte nemico per diminuirne la coesione e poi ritirandosi; gli astati (circa 1200 per legione) erano il primo ordine della fanteria pesante legionaria; erano armati con la spada e con due pila (giavellotti pesanti) e protetti dal grande scutum repubblicano, dall’elmo, dal pettorale e da una o due gambiere; erano i primi a venire a contatto con le linee avversarie; i principi (circa 1200 per legione) erano il secondo ordine della fanteria pesante e costituivano la seconda ondata d’attacco; più anziani e più abbienti degli astati, erano armati in modo simile, ma si proteggevano, probabilmente, con armature più elaborate, come, dal III sec. a.C. in poi, le cotte in ferro; i triarii (circa 600 per legione) erano i veterani; a loro si ricorreva solo in casi di estremo bisogno; essi costituivano l’ultimo ricordo della falange perchè, invece dei pila, portavano ancora una picca da urto. Ciascun ordine era diviso in 20 centuriae; le centurie degli astati e dei principi avevano una consistenza di 60 uomini, quella dei triarii una consistenza di 30 uomini ciascuna; due centurie dello stesso ordine costituivano un manipolo; la legione manipolare, pertanto, costituita da circa 4500 uomini, risultava suddivisa in 60 centurie e 30 manipoli; i velites, circa 1000 per legione, erano suddivisi tra i manipoli, forse in numero di 30 per manipolo; della legione, inoltre, facevano parte 300 cavalieri romani, suddivisi in 10 turmae di 30 cavalieri ciascuna, a loro volta suddivise in 3 unità (decuriae) da dieci cavalieri. Gli ordini si disponevano in linea, uno dietro l’altro, con i veliti sulla fronte; i manipoli erano disposti a scacchiera, con le due centurie una dietro l’altra; ciascun manipolo non agiva autonomamente ma nell’ambito del suo ordine; a differenza della falange, tuttavia, esisteva una certa flessibilità dello schieramento in quanto i vuoti che in tal modo si creavano servivano a permettere il passaggio, in avanzata o in ritirata, di altre truppe; prima dell’urto contro il nemico, ciascuna centuria posteriore di ogni manipolo avanzava e si accostava all’altra, in modo da opporre all’avversario un fronte compatto.

LA LEGIONE COORTALE

(I sec. a.C.- II sec. d.C.)

Con l’istituzione di una vera e propria retribuzione, che sostituiva la precedente indennità, Mario eliminò, all’interno della legione, le distinzioni su base censuaria e questo determinò importanti riflessi tattici: sparirono le differenze nell’armamento e la distinzione in ordini tra astati, principi e triarii rimase solo a fini amministrativi; vennero anche aboliti i veliti, pertanto i legionari assunsero tutti l’aspetto di fanti pesanti, armati di gladius e pilum e protetti da scutum, elmo e corazza. Questa sostanziale uniformità Le riforme introdotte attorno al 100 a.C. sotto i consolati di Caio Mario interessarono in grande misura l’esercito; Mario si rese conto che i cittadini erano sempre meno propensi ad arruolarsi e, pertanto, si orientò verso un nuovo modello di legione, in cui i coscritti annuali si affiancavano ad un nucleo permanente di professionisti comportò un aumento dell’importanza delle truppe ausiliare, che dovevano ora garantire l’esistenza, nell’esercito, di tutte le truppe diverse dalla fanteria pesante. Le legioni di Mario, assunsero, nella normalità, un organico di circa 5000 fanti; la fanteria legionaria venne suddivisa in 10 coorti, 30 manipoli e 60 centurie di 80 uomini ciascuna; ogni coorte comprendeva quindi 3 manipoli e 6 centurie; nel primo periodo imperiale venne forse reintrodotto un piccolo contingente di 150 cavalieri e la prima coorte venne suddivisa in 5 centurie, al posto delle consuete 6, ma di consistenza doppia, forse schierate a destra e agli ordini diretti del legatus, il comandante della legione. La cohors, forte di circa 500 uomini, era un’unità che, a differenza del manipolo, operava anche autonomamente, rendendo lo schieramento adattabile alle esigenze e facendo fronte a situazioni impreviste per mezzo della sua capacità di spostarsi anche da sola sul campo di battaglia. La disposizione sul campo poteva facilmente adeguarsi alle esigenze: l’abolizione delle diverse specialità consentì di schierare più agevolmente la legione anche su due ordini (come nell’ipotetico esempio illustrato qui sopra), per allungare il fronte, invece dei soliti tre; non cambiarono, invece, i movimenti delle centurie volti a permettere l’interpenetrazione di altre unità in avanzata o in ritirata.