L’apocalisse dell’effimero – Paolo Martinelli

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L’apocalisse dell’effimero – Paolo Martinelli

Novantasette minuti di kolossal che può permettersi di gareggiare con qualunque pellicola da grande schermo e, pur destreggiandosi in un impervio labirinto occultistico, si rivela come il più gelido pamphlet dell’animazione giapponese. Qui del resto si passa il tempo a osservare: anche Kamui Shiro, il protagonista, se ne sta a guardare lo spettro materno in quell’incatenamento invisibile che è il sogno. Vorrebbe, sa Dio solo quanto, muoversi e correrle incontro ma, saranno le fiamme che intanto la divorano?, può solo ascoltare: il suo esilio da Tokyo è terminato ed è giunto il momento di affrontare il proprio destino. E quasi maledicendo quell’ingrato compito, la donna profana la propria carne estraendo dal ventre una spada che affida al figlio e che lo trapassa da parte a parte; il resto è un mare di sangue.
Ora a sognare, specchiandosi in quel macabro riflesso, non è più Kamui ma Kotoro Monoo, unica amica del ragazzo, assieme al fratello Fuma. Nel cupo tempio dei sogni, la ragazza si ritrova a inseguire una sfera di cristallo, pare così fragile che potrebbe frantumarsi in un istante, eppure rimbalza come una palla, la qualefinisce nelle mani di una misteriosa apparizione avvolta in un candido sudario. Passa qualche attimo e la misteriosa apparizione è aggredita da violente convulsioni, dalla schiena emergono due ali bianche di angelo; il sudario vola via e la scena illumina il volto di Kamui, che presto viene affiancato da un secondo Kamui arcotrionfato da ali nere. L’angelo bianco tiene ancora in mano la sfera, or ora tramutatasi nella Terra, ma basta un attimo per mandarla in frantumi (e comporre così il titolo). Ora Tokyo sa che Kamui è tornato; lo sanno anche Hinoto e Kanoe, sorelle che governano rispettivamente i Draghi del Cielo e quelli della Terra, nient’altro che due opposte fazioni che si giocano il destino del mondo. L’asse della bilancia è Kamui, ma il ragazzo non sembra intenzionato a seguire nessuna delle due; nei suoi pensieri ci sono solo Katori e Fuma. Malgrado questo, tutt’intorno gli eventi mutano; Tokyo è avvolta da un cupo livore, la musica di Yasukai Shimizu emette suoni sinistri e gli sguardi dei characters, apparentemente secondari, tradiscono l’eccentricità Nobuteru Yuuki, ora sottili e sprezzanti, ora dischiusi e allarmati.
Tra di loro il conflitto è già esploso mietendo le prime vittime e la coreografia spettacolare che li schiaccia sullo schermo esige voli e balzi felini, mani giunte per chiamare a raccolta l’ultimo briciolo di energia da erogare in una letale smorfia del volto. Quanto non può fare l’artista lo supplisce la computer graphic che modella discretamente flussi e ondeggiamenti sul terreno e si ingegna a muovere altre sfere in movimento (Hinoto sopra la capitale). Ogni eroe, o presunto tale, è assecondato dal nostro guardo, a volte lo perdiamo di vista perché si staglia raramente così belli (Palma d’Oro a Shuichi Hirata).
Ci pare di scorgere comparsate dell’ultimo minuto che tra crolli ed esplosioni finiscono seppellite in quel pittoresco postmodernismo della città, senza la raccapricciante esposizione di corpi al macello vista nei manga. Ma quel drammatico affievolirsi della vita umana soccombe anche al peso dell’arroganza tecnologica e ha ancora una frazione di secondo per vedersi piombare addosso molteplici torri di Babele, che prodigheranno di lì in avanti a custodire i loro resti come una ciclopica lapide tombale. Qui s’inserisce un’eventualità “filmata” a quello che potrebbe essere il finale prossimo venturo delle Clamp, ma certamente non così genale. X firmato da Rintaro con personale parsimonia (La spada dei Kamui era puro svisceramento estetico) è del resto un appuntamento da grande schermo cui si è arrivati per gradi, dai ciliegi in fiore visti in Tokyo Babylon (1992), al videoclip-promemoria di X2 (1994), sino ai nuovi ciliegi che lacrimano i loro petali come una pioggia di cenere, che ostruisce il cuore degli uomini ed offusca la mente. Non esiste tradimento dei legami affettivi che possa sembrare tale, forse perché il piano dei sentimenti s’è improvvisamente raffreddato.

Il sacrificio può allora ricordarci che l’unica apocalisse è quella che l’uomo riserva per se stesso,gradualmente. Le sue ambizioni fluttuano come la bolla di Hinoto (la Bubble Economy dei primi anni Novanta?), rammentando l’effimero e l’instabilità che porta tutto a dissolversi in un istante; e, a discrezione di chi ha ascoltato, in X qualcosa ha davvero inizio e non finisce. Il pianto a dirotto di Kamui, modulato in sintonia con quello di un bambino, pronto a sciogliersi nella romantica Forever love cantata dagli X Japan, con un vigore che solo Bryan Adams potrebbe ricordare.