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Giovanni “Il Buono” – Mario Venturi

Per contro, grazie alla vittoria in questa battaglia, la “fortuna” di Eduardo di Woodstook principe di Galles, figlio di re Eduardo d’Inghilterra e più tardi conosciuto come “Principe Nero”, raggiungeva il suo acme. L’esito dello scontro, vuoi per le numerose implicazioni di carattere politico e militare (l’analogo disastro di Crécy era vecchio di appena dieci anni) vuoi per quelle sicuramente non secondarie di carattere simbolico e psicologico (una parte rilevante della grande nobiltà francese, pur con qualche giustificazione, se l’era data a gambe), dava l’avvio a circa un trentennio di spadroneggiamento inglese in terra di Francia. Paradossalmente l’unico (o quasi) che non si era accodato al fuggi fuggi generale di fronte all’incalzare degli “Anglois” dei “Gascons” e degli “Spaniards” del principe Eduardo era stato proprio il re dei Francesi. L’ostinazione a non ritirarsi a battaglia ormai persa, rispondendo così ai dettami della più fervente etica cavalleresca, valse a re Giovanni II l’infamia della cattura ma allo stesso tempo l’indelebile appellativo di “le Bon”, vale a dire il bravo, il coraggioso.
La figura prodotta dalla Elite Miniaturas raffigurante Jean “le Bon” rappresenta un buon punto di partenza per l’allestimento di una ricostruzione
adeguata seppur ipotetica (come è sempre bene sottolineare) dell’aspetto presumibile di tale personaggio nell’ambito, diciamo prima dell’inizio, della battaglia di Poitiers. E’ nella testa che il pezzo Elite si fa particolarmente apprezzare: il volto è molto somigliante al ritratto di Giovanni di autore anonimo (talvolta identificato come Girart d’Orléans), oggi conservato al Louvre e comunemente considerato il punto di partenza della storia della pittura della Francia settentrionale.


fig- [b]Ritratto di Jean Le Bon[/b]

L’elemento da considerare meno felice è invece il grande scudo su cui poggia la mano sinistra del personaggio. Uno scudo così grande era in uso circa un secolo e mezzo prima, perlomeno. Si potrebbe obbiettare che trattasi di un palvesino da fante della guardia personale del sovrano ma l’argomento non è proponibile: il re deve portare uno scudo da cavaliere per cui questo deve essere sostituito con uno di dimensioni più adeguate. Qualche monumento in piazza, d’oltralpe o nostrana che sia, propone personaggi tre/quattrocenteschi equipaggiati da tali “scudoni” ma la cosa non deve trarci in inganno! L’eliminazione del grande scudo offre l’opportunità di aggiungere l’elemento che io considero il più “identificante” al pari della veste sulle cui caratteristiche mi soffermerò in seguito. Mi riferisco al grande elmo coronato. I cronisti che raccontano la battaglia di Poitiers accennano al fatto che Giovanni aveva perduto l’elmo durante il combattimento e c’è chi si azzarda addirittura a citare il nome del cavaliere inglese che lo raccolse (Sir John Treffry). Leggenda o verità storica considero molto probabile che il re indossasse un elmo chiuso piuttosto che un bacinetto a visiera di quelli largamente più diffusi in battaglia intorno alla metà del trecento, in virtù del fatto che la corona vi risiede più adeguatamente e che l’adozione di detto elmo esenta dalla precaria gestione dell’abbassamento/innalzamento di una qualsiasi sorta di visiera. Inoltre, se da una parte si ha riscontro di dorature a mordente a forma di corona gigliata interessanti il coppo del bacinetto, quindi prive di tridimensionalità e dunque non tali da interessare l’articolazione della visiera, dall’altra queste non si presentano che alla fine del quattordicesimo secolo. Sempre dai cronisti coevi si ricava la notizia che il re indossava una lunga veste bianca “seminata” di gigli d’oro.


fig- [b]La lunga veste “seminata” di gigli d’oro[/b]

Citazione da prendere in assoluta considerazione dal momento che le vesti lunghe sono da sempre simbolo di regalità. Si parla anche di armatura brunita, ma in questo caso mi permetto di dubitare. La brunitura delle armature compare soltanto nel cinquecento per cui mi è sembrato più efficace e credibile proporre per il re un armamento tutto dorato. La raffigurazione dei re nelle miniature che costellano il codice trecentesco conosciuto come “Grandes Chroniques de France” è spesso caratterizzata dalla rappresentazione di armature parzialmente o totalmente dorate. Ovviamente la decorazione araldica dello scudo non può che essere il classico “di Francia Antica”, vale a dire azzurro seminato di gigli d’oro.


fig- [b]Lo scudo azzurro seminato di gigli d’oro[/b]

Per concludere con un’ultima distinzione fra parti buone e meno buone del kit della Elite è da citare l’ascia, corretta, visto che la narrazione della battaglia propone il re che mulina una tale arma; per contro le protezioni dei gomiti, le cubitiere, sono purtroppo assolutamente da correggere essendo di una forma che non compare se non nel terzo quarto del secolo successivo.