Panzer II “LUCHS” – S. de Paolis
30 Ottobre 2008
H.M.S. Beagle – A. De Lellis
1 Novembre 2008
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Il Pugio – M. Colombelli

La daga nel corso dei secoli ha subito pochissime modifiche tanto che esistono alcune differenze tra i modelli più antichi e quelli successivi adottati fino al III secolo. Principalmente, i secondi hanno decorazioni migliori, più raffinate sul fodero e su entrambi i lati dell’elsa e la lama più larga: quest’ultima evolve da un modello dritto ad un modello a foglia con un incavo nella parte centrale a dividerla in due parti. Era lungo dai 20 ai 35 cm con una lama molto sottile.
Era costruito con una tecnica semplice ma efficace. Aveva un’anima in acciaio e che comprendeva lama e impugnatura, due guance di corno applicate sui due lati dell’impugnatura e successivamente sagomate. Una sottile lamina era applicata tramite rivettatura sull’impugnatura.
Il manico che ricopriva la parte superiore della lama, era costituito da due parti metalliche piatte unite da rivettature. Normalmente era di metallo, talvolta di avorio o osso.
Il fodero, di legno ricoperto o di metallo (una unica placca ripiegata), aveva quattro anelli per sospendere il fodero, attaccati con chiodi lungo i lati dello stesso e ribattuti.
Il sistema di sospensione era lo stesso del gladio. Mentre il gladio era portato appeso sul fianco destro, il pugnale era appeso ad un autonomo sospensorio incrociato, sul lato sinistro (ma in epoca più antica la cintura era unica. Verrà raddoppiata successivamente, in epoca augustea, per equilibrare i pesi sui fianchi). La posizione del pugnale non è casuale, come nulla nell’organizzatissimo esercito romano. In una formazione serrata, i legionari, ammassati gli uni agli altri, in un corpo a corpo ravvicinato, impediti nei movimenti dallo scudo, poteva avere difficoltà nell’estrarre il gladio dalla destra. Ecco che la posizione a destra della daga, permetteva al legionario di armarsi velocemente.
I romani consideravano la daga più uno strumento di prestigio che una parte del loro equipaggiamento di armi. A partire dalla fine del primo secolo il pugnale, o meglio ancora, il suo fodero, sarà particolarmente ricco e decorato, tanto che va considerato una vera e propria opera d’arte. I legionari, e non solo gli ufficiali, erano orgogliosi del loro aspetto e pronti a spendere forti somme per migliorare l’estetica del loro equipaggiamento. Basta notare che nei vari bassorilievi funebri, è quasi sempre presente.
Tranne rare eccezioni, i disegni rappresentati erano figure geometriche, tanto da produrre le più fini e delicate trame damascate e smaltate del periodo. In un caso troviamo una scena mitologica e in un altro la scritta della legione di appartenenza del proprietario (LEG XXII PRIMI). Lavori ad intarsio di ottone e di niello (i solchi di incisioni su lamine d’oro e d’argento, venivano riempiti con speciali amalgame) provocavano un piacevole contrasto con il colore dell’acciaio della lama. Pregiati lavori di smaltatura producevano effetti di contrasto cromatico straordinari. Un lavoro di tale raffinatezza da suffragare l’ipotesi che la daga non avesse un uso bellico.
Quindi, probabilmente veniva utilizzato in combattimento sporadicamente, e forse, solo in epoca più tarda, quando con l’avvento della “spatha” si renderà necessario anche per il legionario l’utilizzo di un’arma da corpo a corpo. La stessa forma del pugio, triangolare, aiutava ad ampliare le ferite che venivano inferte dai potenti colpi del legionario.
Non dobbiamo, però fare l’errore di considerare la daga come un coltello da campeggio ben decorato, ed anche se poteva essere usato per scopi non propriamente militari, va sempre considerata un’arma. Purtroppo non siamo in grado di rispondere al quesito del perché i legionari avessero questa daga larga, oltre la corta spada, ne come questa fosse utilizzata: le fonti non ci vengono in soccorso. Certamente in molte occasioni risultava più maneggevole del giavellotto o della spada i quali richiedevano spazio per essere maneggiati. Ma probabilmente la daga rappresentava l’ultima risorsa di difesa del legionario.